IULIANO È LA BANDIERA di Carlo Marrazza

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Se ne va non una bandiera, ma la bandiera per eccellenza. Totonno Juliano, il Capitano. Si fa un gran parlare di bandiere, di calciatori che legano la propria immagine al club, ma, ormai, i tempi non sono più quelli. Gente che bacia la maglia e poi si getta tra le braccia del miglior offerente. Forse l’unico, nei tempi moderni, che può reggere il paragone, è Francesco Totti. Juliano, come chi lo ha conosciuto lo descrive, era un…Napoletano atipico, niente cessioni al folklore o alla Napoletanità più riconosciuta, ma un atteggiamento sempre serio e rigoroso, in campo e fuori. 17 anni al Napoli di cui 12 da Capitano. Uno scudetto accarezzato e strappatogli via da quello che sarebbe diventato…Core n’grato, quel Josè Altafini che segnò, da ex, il gol del vantaggio della Juve nella partita decisiva per il titolo. Juliano era uno di quei leader nati, quelli che non hanno bisogno di parlare e verso cui gli altri nutrono un naturale rispetto, questi fosse dovuto. Un mediano di quelli che mettevano ordine, tosto, efficacie, ma sopratutto un uomo che ha giurato fedeltà alla maglia e alla città non cedendo alle lusinghe del Nord nemmeno quando offrirono al Napoli una barca di soldi e il Presidente era pronto a cederlo. “Non se ne parla, Napoli è la vita mia” questa fu la risposta. Quando si dice…uomo di altri tempi, è la perfetta descrizione di uomini come Totonno Juliano. Aneddoti ce ne sono tanti, alcuni che ne descrivono lo spessore umano. C’era un tempo in cui si prendevano i premi partita e il Capitano pretendeva che anche l’ultimo dei magazzinieri prendesse la stessa somma dei calciatori più blasonati. E lui giocava con gente del calibro di Sivori e Altafini. Stimato anche dalla stampa nordista, cosa impensabile a quei tempi, tanto che uno come Gianni Brera lo descriveva come giocatore sublime. Campione d’Europa con Valcareggi e Herrera che ebbe l’idea di trasferire in blocco l’Inter in Nazionale. Gli mancava solo un giocatore che avrebbe dovuto sostituire Luis Suarez. Scelse quel Napoletano atipico. Minuti anche nella finale di Messico 70, quella col Brasile, quella delle leggendaria semifinale con la Germania. Il Capitano chiuse la carriera a Bologna poi diventò dirigente, si, anche del Napoli. E anche lì dimostro di essere uno che ci capiva e tanto. Prima Rudy Kroll, giocatore dato per finito e che giocava in Canada prima di scrivere bellissime pagine a Napoli, dove dimostrò di essere il fuoriclasse che era. Poi, la gemma della storia del Napoli. Diego Armando Maradona, il giocatore più forte del pianeta, convinto ad accettare Napoli, proprio dalla caparbietà di Juliano. Fosse solo per questo meriterebbe la statua a piazza Plebiscito. La tristezza del popolo Napoletano, quello datato sopratutto, si spiega così. L’ammirazione e l’affetto per chi ha rifiutato soldi e fama solo per amore. E Napoli è città di amore. Napoli ha avuto il giocatore più forte di tutti i tempi e, in egual modo, piange Antonio Juliano. Il Capitano, quello vero. Il condottiero, il generale che si mette in testa alle proprie armate, e le guida dando l’esempio. Addio Capitano… Carlo Marrazza

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